di Giuseppe Oliviero- vicepresidente nazionale CNA
I recenti dati ISTAT preannunciano una periodo di stagnazione della nostra economia, il calo dei consumi interni, il rallentamento delle esportazioni, rischiano di riportarci di nuovo in una fase di recessione in mancanza di una politica industriale nel paese in grado di invertire la tendenza l’economia; il Nord frena il Sud arretra. Le spinte sovraniste provenienti anche dall’Europa alimentano la sfiducia dei mercati e le preoccupazioni sistema produttivo. In questo scenario riaffermare il ruolo della rappresentanza politica dell’economia nell’era 4.0 e nel mercato globale è un indispensabile azione per comprendere la capacità di adattamento al cambiamento del nostro sistema produttivo. L’Italian Stile, il Made in Italy, sono il tratto distintivo della nostra economia, assumono un ruolo identitario, valore aggiunto dell’essere “il bel paese”. In quest’ottica la codificazione delle dinamiche economiche attraverso la rappresentanza degli interessi assume un ruolo primario, affermando ruoli e funzioni. I corpi intermedi hanno rappresentato un volano di democrazia a favore della coesione sociale, perno del valore di comunità alla base del benessere dell’individuo. Le associazioni di categoria hanno svolto un ruolo importante agendo i conflitti di classe; centri di servizi a sostegno dell’impresa anche in sostituzione delle istituzioni. Ciononostante essi sembrano poco inclini ad accettare il cambiamento, lo subiscono quasi inermi; eppure tutto questo è nel nostro paese un patrimonio da conservare e tutelare, è conoscenza, esperienza costruite dal dopoguerra. Aspetto che riguarda la grande industria e ancora di più le medie, piccole e micro imprese, che costituiscono l’ossatura portante dell’economia Nazionale ed Europea. Cerchiamo allora di capire di che mondo parliamo e del suo peso nella società italiana.
Oltre 400 tra giornalisti economici, presidenti delle Camere di Commercio e rappresentanti delle Istituzioni opinion leader hanno risposto nel 2016 a “Spazio RP” per la prima ricerca italiana volta a misurare il grado di autorevolezza delle associazioni di categoria. Sono stati invitati a indicare le organizzazioni che meglio rappresentano gli interessi di imprese, in base a specifici parametri: le particolarità dell’economia di zona, che tendono a favorire le associazioni di un settore piuttosto che di un altro per quanto concerne il numero di iscritti; la dinamicità, secondo una maggiore o minore propensione a organizzare eventi, convegni e ad intervenire nelle questioni più importanti della vita pubblica; la credibilità e il prestigio raggiunti nella tutela degli interessi dei propri associati, nel rapporto con le Amministrazioni, le forze politiche e le Parti Sociali; la qualità del servizio offerto in materia di assistenza tecnica e burocratica; lo share of voice e la capacità comunicativa, la presenza sui mass media e l’assiduità nell’invio di comunicati stampa di carattere informativo e promozionale; la presenza di un sito web e la qualità dello stesso. In seguito alle indicazioni degli opinion leader sono state individuate le associazioni più influenti. L’ elaborazione statistica dei dati, ha permesso di calcolare complessivamente il peso delle associazione di categoria italiana sul territorio”. La ricerca riguarda tutti i settori dell’economia ma il settore artigiano e della piccola impresa, che mi interessa, rappresenta un paradigma sufficiente a comprendere lo stato di salute dei corpi intermedi in ambito datoriale. I risultati:19,9% dei consensi Confindustria al Nord (22,6%) e al Sud (20,1%), mentre al Centro ha un vantaggio sensibilmente più ridotto; 12.7% Cna si tratta di un dato poco sorprendente, considerate il crescente attivismo degli ultimi anni e il ruolo che hanno assunto gli studi CNA :11.6% Confartigianato.
A livello nazionale Cna e Confartigianato sono quasi pari: un punto percentuale a favore della prima. Sono invece riscontrabili notevoli differenze su base geografica: la Cna, con il 17,2% delle preferenze, ha il suo punto di forza nel Centro Italia, con un’influenza quasi pari a quella di Confindustria. In particolare, gode della maggiore stima in Umbria, Marche, Emilia Romagna e Toscana, dove si riscontra una forte concentrazione manifatturiera, sia a livello numerico che di rete di interscambio; contesto in cui l’organizzazione riesce a esprimere una fortissima capacità associativa e di servizi, aspetto che oggi vede una interessante vivacità anche al sud Sicilia e Campania in testa. La Confartigianato sembra acquisire importanza man mano che si sale verso il Nord, in regioni come la Lombardia, il Friuli Venezia Giulia e il Trentino Alto Adige. Una delle spiegazioni al diverso radicamento sul territorio delle due associazioni artigiane risiede nel particolare momento storico in cui sono nate, l’immediato dopoguerra, e nelle differenti tradizioni politiche a cui hanno fatto riferimento. Una connotazione di stampo comunista o democristiano che oggi appare scolorita, ma che ha lasciato il segno su scala nazionale con un’eterogenea presenza nel sistema Paese. Oggi lo scenario non è cambiato di molto, anche se a ritengo che il sistema industriale vive una crisi di rappresentanza profonda, mentre le organizzazioni della piccola impresa provano forme di rappresentanza più vivaci e dinamiche, penso a Rete Imprese Italia che mette insieme artigianato e commercio. Indipendentemente dai rapporti di forza, dal percepito della società, ciò che e i numeri non raccontano è la resistenza al cambiamento. La CNA, Confederazione Nazionale dell’Artigianato e delle PMI, con “connessi al cambiamento” ha da tempo compreso che una maggiore autonomia dalla politica e dalla connotazione strettamente ideologica rappresenta un elemento di innovazione e di riaffermazione di un ruolo sociale; restando fedele ai principi fondativi ma proponendo un pensiero politico autonomo. Contestualmente impegnata, non senza difficoltà a decodificare un nuovo agire della cultura della rappresentanza dell’economia diffusa. Cultura di insieme ed intelligenza di sistema. Partendo dal superamento delle vecchie contrapposizioni tra centro e territorio, tra rappresentanza imprenditoriale e funzionariato, ridisegnando il territorio e reinterpretandone il ruolo, le funzioni e le dimensioni. Ragionando in termini di filiere, distretti, reti e processi di aggregazione. Sviluppi futuri. L’economia italiana ha scoperto bruscamente che il sistema industriale basato principalmente su un’ossatura di piccole e piccolissime aziende sembrava non più adatto a sopportare le sfide di un mercato sempre più globale e concorrenziale. Oggi le chiavi per competere risiedono in campi a cui un universo di microimprese non può accedere facilmente. In questo panorama un ruolo chiave debbono giocarlo stakeholder e i motori di coesione come le associazioni d’impresa. Le quali possono diventare protagoniste nel superare gli individualismi, intenti a far crescere l’economia del Paese e dell’Europa dove la rappresentanza d’impresa gioca un ruolo non secondario nelle scelte e nelle politiche comunitarie che influenzano direttamente il processo produttivo dei paesi aderenti. In questo contesto la capacità di costruire lobby ed alleanze diventa un attività sempre più importante, ma allo stesso tempo un gap per la rappresentanza italiana, nel nostro paese abbiamo da sempre confuso la legittima attività di lobby col sistema deprecabile del mero clientelismo.
Il secondo step è quello di studiare il sistema economico territoriale indagato in chiave di filiera, di territorio e infine di prodotto-storia-cultura. Le associazioni di categoria se vogliono sopravvivere devono riuscire ad innovarsi, snellendosi ed adattandosi alle nuove dinamiche sociali e politiche, con un proprio protagonismo. Essere motori di spinta del principio di comunità, fondamentale in una economia basata sull’autoimprenditorialità e la micro impresa, il più delle volte condotta in forma familiare, dove l’elemento della qualità del prodotto e della fiducia in chi lo realizza diventano fattore di competizione.
Hanno più senso strutture dislocate sul territorio nazionale solo se inquadrate in una logica di sistema orientate ad un governo su scala nazionale sintesi delle istanze anche provenienti dai territori. Una nuova visione organica e una propria idea di sviluppo del Paese in una prospettiva Europea. Un Europa capace di completare il processo di unificazione, a partire dai temi del lavoro e dello sviluppo economico, superando la funzione di “normatore burocratico” percepita dagli imprenditori. Un sistema associativo a geometrie variabili che punta a fare sintesi sui temi su cui è possibile raggiungere condivisione, costruire alleanze temporanee in relazione a questioni di comune interesse, in Italia e in Europa, tenendo conto delle istanze del territorio/paese e dei settori e/o mestieri rappresentati, ridando ad ogni ambito, nel rispetto delle differenze, dignità di settore, di produzione e di provenienza geografica. Qui lo sforzo organizzativo, di CNA in vaste aree del paese dimostra che si possono sperimentare nuovi modelli associativi, economie di scala e processi di aggregazione. L’attenzione per il meridione ha consentito in Sicilia ed in Campania una ripresa della qualità associativa in territori tradizionalmente e culturalmente resistenti a processi di comunità d’interesse. Campania Nord, con aggregate le associazioni territoriali di Napoli, Caserta e Benevento trova una prima e importante risposta. Certo non mancano resistenze ma il percorso è irreversibilmente avviato. Abbiamo davanti una nuova stagione della politica Italiana e Europea, in uno scenario economico internazionale che muta con una tempistica fin ora inimmaginabile e dagli esiti non sempre prevedibili. A parlare, in queste difficili settimane, sono stati soprattutto i leader politici e una base in subbuglio amplificata dai social network. Un perfetto esempio della disintermediazione che caratterizza il funzionamento della socialità nel suo complesso, politica compresa.
La nascita del nuovo governo in Italia, sembra venire accolta con un generale sollievo, probabilmente anche da parte delle rappresentanze che non ne condividono contenuti e ideologia. Nel nuovo quadro politico le priorità non riguardano solo i contenuti dell’agenda da negoziare secondo i riti del “dialogo sociale”. Prima del “cosa” al centro del confronto con il governo si pongono le progettualità e le competenze che devono caratterizzare il nuovo agire delle organizzazioni di rappresentanza, non solo a livello nazionale. Sulla conoscenza e dalla trasformazione dalla rivendicazione alla proposta politica si definisce non solo il ruolo, ma la stessa competizione all’interno del variegato mondo della rappresentanza politica imprenditoriale.
Policy making. L’impressione è che con una compagine governativa che si regge su uno strumento di natura contrattuale l’impostazione dei tavoli di negoziazione sia giunta al tramonto. Potrebbero invece prevalere impostazioni basate sul confronto diretto, su reti relazionali, su una reciproca “convenienza” nell’interesse dell’economia del paese; un metodo che importa gli strumenti della democrazia diretta anche nel contesto delle policy e che può funzionare quando si tratta di attivare complessi processi di coprogrammazione e coprogettazione. La direzione della rappresentanza. I corpi intermedi dovranno prestare più attenzione alla comunicazione interna, dedicarsi ai processi di un nuovo modo di fare impresa, di comprendere le ragioni e i bisogni dell’imprenditore, piuttosto che alla predisposizione di piattaforme da sottoporre in senso top down al giudizio della base per poi avviare la negoziazione. Ecco quindi che dopo una stagione dove molte rappresentanze hanno investito soprattutto in comunicazione esterna marcando elementi di identità e valore, si dovranno rafforzare iniziative, competenze e infrastrutture tecnologiche volte ad accogliere e rielaborare sollecitazioni puntuali dal basso affermando il ruolo dell’impresa quale volano dell’economia. Utilizzando i nuovi modelli di comunicazione. Una logica di sistema che riduce le distanze tra centro e territorio. Non si tratta di riposizionamenti ma di passaggi epocali, marcando il protagonismo del territorio come interfaccia sulla “realtà” anche per quanto riguarda la funzione di costruzione delle politiche in una nuova visione del rapporto territorio-paese, rafforzando il ruolo di sintesi e coordinamento del centro nazionale. Una trasformazione figlia dei tempi e forse anche efficace considerando la morfologia della società italiana e del suo tessuto economico nel paese delle differenze coerenti. Un rivolgimento complesso da gestire in termini organizzativi; ambivalente negli esiti perché rischia di frammentare le istanze e le relative proposte di soluzione in una fase in cui il carattere sistemico delle sfide del paese è sotto gli occhi di tutti. E’ il terreno sul quale le organizzazioni datoriali devono muoversi; seminare, innovare.
Sarà interessante verificare se da queste sollecitazioni nasceranno corpi intermedi di nuova generazione viste le difficoltà che derivano dai processi di riforma interna e verso l’esterno. Forme nuove di intermediazione e rappresentanza basate su: competenza, conoscenza e comprensione dei processi produttivi, sui nuovi assetti territoriali, capaci di rispondere alla crescente richiesta delle imprese di servizi ad alto valore aggiunto, di innovazione, sulla capacità di creare opportunità; piuttosto che insistere su matrici culturali e ideologiche che, come restituisce il nuovo assetto politico, hanno fatto il loro tempo. In fondo non è così complesso attivare forme innovative di rappresentanza, attraverso lo strumento delle “reti” parola abusata tanto da far apparire la realtà che rappresenta desueta e in verità praticarla sarebbe rivoluzionario, innovativo. In questo nuovo scenario, tutto sommato, molte cose si rendono possibili. Per quanto riguarda gli esiti, invece, è solo questione di tempo e del livello consapevolezza del cambiamento.